di Riccardo Varveri
Pochi giorni fa a Pompei sono stati trovati disegni fatti da bambini. Hanno circa 2000 anni. Tra le diverse immagini, questa mi ha emozionato particolarmente: il contorno di una mano, probabilmente del bambino stesso.
Ho un nipote che da poco ha iniziato a disegnare. Anche lui si diverte a ricalcare il contorno della sua mano. Viene ancora aiutato dai suoi genitori, ma ci prova per quel che può.
Ho provato a immaginare quel bambino, come fosse mio nipote, in quella città, Pompei, ignaro del secondo successivo. Probabilmente stava scoprendo le sue capacità di artista, o quello che non è potuto essere. E ho pensato a quanto quel bambino ora è anche in Filippo, mio nipote, per quello che non è potuto diventare e per quello che Filippo sta imparando a fare e a essere.
Abbiamo una storia che ci lega indissolubilmente. Se poggio la mia mano su quell’impronta, sento ancora il rumore del ciottolo di pietra, del pennino di canna o di quel che sia macchiato di qualche tintura naturale che scricchiola contro il muro e scrive una storia destinata a essere ricordata per sempre, anche se non è potuta diventare altro.