Se prima era stato processato perché, interloquendo con don Vito Ciancimino, autonomamente si è mosso per porre fine alle stragi, ora a Firenze lo vogliono processare perché – apprendendo che ci sarebbero state le stragi continentali del ’93/’94 – non ha fatto nulla per impedirle attraverso «autonome iniziative investigative e/o preventive».
Continua la persecuzione giudiziaria nei confronti dell’ex Ros Mario Mori. Processato tre volte a Palermo, dalla cosiddetta mancata perquisizione del (non) covo di Riina alla (non) trattativa Stato-mafia e alla mancata cattura di Provenzano, è stato puntualmente assolto con formula piena. Parliamo di un ventennio di travaglio giudiziario, dove una certa magistratura ha vissuto in simbiosi con un certo giornalismo che vive di rendita con le stragi di mafia, creando tesi dietrologiche che a tutto è servito, tranne che alla verità dei fatti.
Mario Mori ha 85 anni e rischia di ritrovarsi ad affrontare un altro doloroso processo. A darne la notizia è stato lui stesso, avendo ricevuto l’avviso di garanzia il giorno del suo compleanno. Data a comparire? Il 23 maggio, per pura casualità l’anniversario della strage di Capaci. Ma su quali basi? Vediamole. Partiamo dalla tesi della procura di Firenze. In sostanza, secondo i magistrati inquirenti, l’ex Ros non avrebbe impedito gli attentati stragisti del 1993-1994, pur avendone la possibilità. In che modo? Non avrebbe segnalato o denunciato alle autorità competenti le informazioni ricevute su imminenti attentati.
Non solo. Secondo i magistrati, non avrebbe intrapreso iniziative investigative o preventive per fermare gli attentati. E dove e quando avrebbe appreso questa notizia? Sempre secondo la procura di Firenze, Mori avrebbe ricevuto tali informazioni per due volte. Una ad agosto del 1992: dal maresciallo Roberto Tempesta, tramite la fonte Paolo Bellini, avrebbe saputo che Cosa Nostra progettava di attaccare il patrimonio artistico italiano, in particolare la torre di Pisa. Poi il 25 giugno 1993: durante un colloquio investigativo a Carinola, Angelo Siino gli avrebbe riferito, basandosi su informazioni di Antonino Gioè, Gaetano Sangiorgi e Massimo Berruti, che Cosa Nostra aveva in programma attentati nel Nord Italia.
Cosa non torna? Per comprendere il motivo per il quale Mori non avrebbe impedito le stragi continentali dobbiamo aspettare la tesi della procura. Ma vista la narrazione dominante che dura da trent’anni (e sostenuta da alcune tesi processuali e ricostruzioni un po’ contorte di alcuni giudici), possiamo ipotizzare che sicuramente parta dall’idea che un gruppo superiore alla mafia, composto da donne bionde, servizi deviati e gladiatori, abbia eterodiretto Cosa Nostra per far salire Berlusconi al governo. Quindi Mori sarebbe uno dei componenti di questa entità: la famosa teoria del terzo livello che in realtà Falcone e Borsellino consideravano una sciocchezza.
Peccato che tutta questa tesi crolli miseramente, visto che il progetto terroristico mafioso è stato deliberato dalla commissione presieduta da Totò Riina nel 1991. Anno in cui la Prima Repubblica era ben consolidata, ancora non era scoppiata Tangentopoli e la discesa in campo non era ancora nell’anticamera del cervello di Berlusconi stesso. Dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, Totò Riina viene catturato dai Ros guidati da Mori. A quel punto, Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano e Messina Denaro decisero di portare a compimento la linea stragista. Seguirono l’attentato a Roma contro Maurizio Costanzo il 14 maggio del 1993 (ricordiamo che Gaspare Spatuzza stesso, innanzi al pm Stefano Luciani, disse che i sopralluoghi per l’attentato erano avvenuti nel ’91), la strage di via dei Georgofili a Firenze tra il 26 e il 27 maggio, la strage di via Palestro a Milano, e contemporaneamente gli attentati a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano a Roma tra il 27 e il 28 luglio 1993. Dopo una pausa di alcuni mesi, nel 1994, dallo stesso gruppo criminale fu organizzato l’attentato, fallito, davanti allo stadio Olimpico di Roma.
Ma veniamo alle notizie che Mori avrebbe appreso. La questione del maresciallo Tempesta è ben conosciuta e già vagliata dai processi di Palermo e di Firenze stessa. Si sfiora un Ibidem. Tutto nasce dall’iniziativa del terrorista nero Paolo Bellini, una strana figura di informatore della polizia e avventuriero, che all’epoca si muoveva anche nel mondo dei traffici di opere d’arte. Offrì al maresciallo Tempesta, del nucleo tutela patrimonio artistico dei Ros, la sua disponibilità a infiltrarsi in Cosa Nostra per portare notizie utili agli investigatori, approfittando dell’amicizia che costui in passato aveva stretto col mafioso Antonio Gioè (stretto sodale di Giovanni Brusca e Gioacchino La Barbera), durante la loro comune detenzione nel carcere di Sciacca.
Bellini, col consenso di Tempesta, fece ricorso alla trovata di recarsi in Sicilia per proporre a Gioè uno scambio tra alcuni quadri importanti trafugati in una galleria di Modena e la concessione di benefici carcerari ad appartenenti a Cosa Nostra. Gioè, attraverso Brusca, presentò a Bellini una lista di cinque detenuti del gotha di Cosa Nostra sottoposti al 41 bis o comunque in difficoltà, rispetto ai quali Bellini si impegnò a ottenere un alleggerimento del trattamento detentivo. Tempesta, incalzato da Bellini, volle rimettere la questione a Mori, ma la trattativa si arenò: l’ex Ros tergiversò e in sostanza non volle occuparsene, e dal canto suo Bellini, temendo di rischiare troppo, e effettivamente sospettato da Gioè e dal suo gruppo di agire da infiltrato, uscì di scena dileguandosi. Punto, nient’altro.
Che Bellini segnalò la Torre di Pisa come simbolo da colpire è storia nota. Peccato che, come sappiamo, non fu colpita, e ben altre città vennero colpite e già adocchiate nel ’91. Basti pensare a Maurizio Avola che già in quell’anno, fece un sopralluogo a Firenze. Sarebbe interessante, a questo punto, leggere le intercettazioni di via Ughetti, dove sono stati captati i dialoghi tra Gioè e La Barbera. Sappiamo che sono risalenti a febbraio del ’93. Gioè verrà arrestato subito dopo per evitare che fossero realizzati alcuni attentati già pianificati, così come risulterebbe dalle conversazioni intercettate dalla procura di Palermo. Parliamo al condizionale perché non sono mai state depositate tutte. Sarebbe a questo punto interessante poterle leggere per intero, visto che quelle sì che potevano essere utili per prevenire le stragi continentali. Per ora rimarrà un mistero.
Poi c’è la questione di Angelo Siino, il cosiddetto “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra” arrestato grazie al dossier mafia-appalti redatto dai Ros. Nel giugno del ’93 avrebbe detto a Mori che la mafia stava preparando attentati al Nord. All’epoca non era ancora un pentito, quindi parliamo di colloqui informali e molto probabilmente non c’è alcun verbale. Quindi difficile poter verificare con i riscontri. Abbiamo un esempio. Siino, dialogando con l’ex Ros Giuseppe De Donno, avrebbe accusato di corruzione alcuni magistrati di Palermo per quanto riguarda la gestione del dossier mafia-appalti. Quando Siino divenne collaboratore si rimangiò tutto: era la sua parola contro quella dell’allora Ros Giuseppe De Donno, visto che erano colloqui informali e quindi non verbalizzati.
Ma poniamo che fosse vero quello che dicono gli inquirenti fiorentini. Parlare di attentati al Nord era generico, quale azione preventiva poteva fare Mori? Ma tutto questo è ancora da chiarire attraverso un lungo lavoro di archivio. Dopo 32 anni non ci si può più fare affidamento alla memoria. Dovranno essere le carte a parlare. Nel contempo, raggiunto telefonicamente da Il Dubbio, Mori dice di non aver paura di nulla, anzi: «Combattere di nuovo mi rinvigorisce e allunga la vita».
Damiano Aliprandi per Il Dubbio