di Alessio Di Carlo

Per uno strano gioco del destino, a distanza di pochi minuti ci imbattiamo nel commento post voto di due dei massimi esponenti di Stati Uniti d’Europa.
Il primo è Matteo Renzi, che in un post sui social, oltre ai ringraziamenti per le 207mila preferenze raccolte in quattro circoscrizioni e la leale ammissione della sconfitta, si duole (e ne ha ben donde) di aver mancato la possibilità di “avere 7 parlamentari” che “per colpa della divisione saranno ZERO”.
Si scrolla di dosso ogni responsabilità, l’ex Premier, rivolgendosi “a chi dice: tutto questo per colpa delle vostre divisioni personali” replicando che “mettere tutti sullo stesso piano in termini di responsabilità è profondamente ingiusto. Dire che sono tutti uguali è tipico dei populisti. Le persone serie leggono i fatti. E distinguono le responsabilità. Noi abbiamo sempre detto sì a tutti gli appelli all’unità, aderendo a quello finale di Emma Bonino per gli Stati Uniti d’Europa. Abbiamo sempre detto che servivano i voti e non i veti. Abbiamo subito veti ma non li abbiamo messi. E non ne metteremo mai, perché noi facciamo politica con le idee e non con i rancori”.
Tutta colpa di Calenda, dunque.
Fin qui, niente di nuovo (e non sembra facile dar torto al leader di Italia Viva): siamo al gioco delle parti a cui la psicoalizione moderata ci ha abituato da anni.

E’ invece importante leggere più avanti, dove l’ex Sindaco di Firenze, con lucidità ed onestà intellettuale, osserva che “quest’area politica rappresenta il 10% dell’elettorato. È decisiva per le future elezioni. Non dare rappresentanza a questi cittadini è una follia. Noi siamo per costruire in modo democratico, dal basso, una casa comune per tutti i riformisti, libdem e popolari. E pensiamo che il primo gesto per dare una mano alla costruzione di questo processo debba arrivare da chi ha avuto responsabilità in passato: non può essere nessuno di noi a gestire questo passaggio. Con uno slogan: terzo polo con un terzo nome alla guida“.

Chapeau.

Di tutt’altro tenore l’analisi post voto dell’On. Riccardo Magi, segretario di Più Europa che, dopo essersi dilungato in una dettagliata auto celebrazione della propria sortita in Albania, non solo evita accuratamente qualsiasi forma di autocritica, ma arriva a gioire per gli altrui successi quando scrive “E adesso? Oltre la sconfitta, le urne ci dicono che esiste un’Italia diversa: quella delle nuove generazioni, degli under 30 che hanno compreso l’importanza di un cambiamento radicale dell’Europa che era il cuore della nostra proposta. Di questo siamo felici”.
Non vorremmo deludere l’amico Magi, ma gli under 30 hanno premiato, eccome, in massa, Alternativa Verdi e Sinistra, non Stati Uniti d’Europa. E da liberale, radicale, riformatore, c’è ben poco da esser lieti dell’affermazione di Fratoianni, Bonelli & Co.

Il tempo degli slogan, della propaganda, è scaduto. A proposito di slogan, anzi, ci permettiamo di suggerirne uno letto appena pochi minuti fa: terzo polo con un terzo nome alla guida.
E il nome non è quello di Bonelli o Fratoianni, eh.